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Un giorno smetteremo di morire | Roberto Pasolini

Un giorno smetteremo di morire è la frase che vorrei avere come sfondo del cell, sparsa per casa su migliaia di post-it. ”
È quello che ho pensato appena conosciuto il titolo del libro dal momento che sorella morte era passata troppo rapidamente per troppe volte nella nostra vita.
Così l’attesa di avere tra le mani quel germoglio di luce mi aveva caricata di, non aspettativa ma…speranza.

Un frate, una donna e una metropolitana.

Conoscevo la penna di Fra Roberto come biblista, la sua voce come predicatore ma non sapevo cosa aspettarmi da un romanzo.
Mi incuriosiva. Poi mi sono fiondata tra quelle pagine come se fosse una fermata che attendesse anche me.

Pagina dopo pagina, rigo dopo rigo, in una lettura scorrevolissima, sboccia tutta la bellezza dell’umano e ti porta con sè.

La solitudine, lo sconforto, la debolezza, la fragilità, la ricerca del cuore, la ricerca del senso, il bisogno di arrestare la corsa di questa vita che inesorabilmente ci chiede, ci chiede tanto, troppo, tutto senza apparentemente darci nulla in cambio.

Ho amato tantissimo l’umanità trabordante di un uomo-di-Dio che, seppur ‘romanzata’, porta alla luce un’ombra che troppo spesso ignoriamo, non vediamo, non ascoltiamo.

Un intreccio di punti di vista in cui è stato meraviglioso riconoscersi ora in un personaggio, ora in un altro ma contemporaneamente stare lì ad un angolino della navetta e vedere sbocciare l’amore.

Non fraintendetemi però, quiesta non è una storia da tre metri sopra il cielo, ma una storia di cielo sì.

Un amore di cui spesso ci dimentichiamo di essere capaci di amare. Una storia in cui ci si innamora di anime, in cui la bellezza dell’altro è nella sua totale fragilità, nell’attimo in cui crolla quel muro di cemento armato fatto di aspettative, di traguardi, di bisogni esanimi in cui ci inscatoliamo ogni giorno.

Ho pianto. Tanto. Perché troppe volte anche io, come Irene, vedo scorrere la vita davanti ai miei occhi senza essere partecipe dell’attimo presente ma mi sento anche capace di amare così, come Fra Bob, di rivedermi nell’altro che, sì può sembrare così diverso da me ma mi è gemello e poi perché non sempre la morte più dolorosa è solo l’assenza di una persona cara. Ci sono morti quotidiane che ci spezzano, ci raffreddano, ci smarriscono.

Bisogna solo arrestare la corsa e guardarla quella morte. Riconoscerla per farla germogliare.

Ed è  stato vivificante anche scoprire un modo di evangelizzare dei nostri giorni.
Non da un altare. Non in un post. Non un oratorio ma in un attimo presente.
In una coincidenza impossibile. In un momento improbabile, nella carne della vita.

Perché in fondo, ogni uomo è vivo solo se trova il senso, la sua direzione, la sua méta. E sì sa che la méta che rende felice ogni uomo è l’Amore.

Io mi chiedevo a chi poter consigliare questo libro: ho pensato agli adolescenti, ho pensato agli adulti, ai mariti, alle mogli, ai vedovi e le vedove, alle madri e i padri e ai figli.

Perché sì, ci siamo un po’ tutti in questo piccolo tragitto di scelte, fermate.
Siamo tutti chiamati a scegliere la coincidenza quando le porte della metro si apre.

Il finale aperto mi ha spiazzata, perché mentre Fra Roberto va via, non ho pensato a cosa Irene avrebbe fatto, ma cosa avrei fatto io.
Verso quale méta avrei condotto i mei passi.

Grazie, come sempre Fra Roberto, di riempire la tua anima con così tanto amore, che come una fisarmonica lascia a noi la melodia del Vangelo.
Per aver lasciato correre la tua penna che mi interroga, mi scruta, mi mette in cammino.

È un viaggio, tra le pagine di questo libro che consiglio con il cuore. Perché sì, forse un giorno smetteremo di morire ma oggi è il giorno perfetto per iniziare ad amare.

Con passione
Alumera

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